Sei su Archivio / 2010 / cinema
IL
CANTO DELLE SPOSE
A
cura di Maria Grazia Riveruzzi
“
Il Canto delle spose “
racconta come Ebrei e Arabi convivessero pacificamente in
Tunisia,
nel
reciproco rispetto delle diversità, prima dell’arrivo dei nazisti
; uno spaccato di storia franco-tunisina ( poco conosciuta ) , in
chiave intimistica che trova la sua forza espressiva nella condizione
femminile , oltre le ideologie politico –religiose .
Karin
Albou , francese
di origine ebraico-tunisina , affronta nel suo secondo lungometraggio
il
complesso tema del rapporto razzista- religioso già affrontato nella
sua opera prima “Le petite Jerusalem“, presentato a
Cannes nel 2005 .
La
grande Storia attraversa non senza ferire le esistenze di due
giovani donne :Miriam ebrea e Nour musulmana ,che hanno
sviluppato nel corso dell’infanzia e della adolescenza ,in un
piccolo e chiuso cortiletto, una forte amicizia. La loro storia è
ambientata nel 1942 in una Tunisi autunnale , durante l’occupazione
nazista e la seconda guerra mondiale funge da catalizzatore di forti
tensioni, ancora oggi valide. La solidarietà femminile rischierà di
essere incrinata dall’irrompere dell’irrazionalismo
ideologico-religioso. La regista ,che si riserva il ruolo della madre
di Miriam, va oltre la storia universalmente intesa per centrare
l’obiettivo sulla condizione o meglio oppressione femminile:
entrambe le ragazze non sfuggiranno al loro preordinato destino.
L’una,
costretta al matrimonio per sottrarsi alle retate tedesche e per
ragioni economiche; l’altra, condizionata da un fidanzamento voluto
dai parenti secondo usanze patriarcali e religiose-islamiche.
Ma
il filo conduttore del film è il Canto : delle bambine prima, della
preparazione al matrimonio dopo e infine il canto del dolore.
Karin
mette
in scena un film forte e sensuale , introducendo lo spettatore/trice
nell’intimità di un gineceo fino a fargli/le provare la sensazione
di respirare aromi di pelli femminili.
I
corpi femminili assumono consistenza materiale e una grande
espressività in un film che li esibisce ora come “soggetti”
(scene dell’hamman) cui dedicare cura e rispetto ,ora come
“oggetti”da possedere con l’inganno e con il subdolo fascino (
Khaled alias Najib Oudghiri ) o con il potere del denaro(Raoul
alias Simon Abkarian).
La
tecnica stilistica della regista, vicina ,come la famosa Claire
Denis, ad un cinema che non cattura ma si fa catturare dal
decorso della vita , è attenta ai particolari…ai dettagli :i
significati fondanti vengono affidati non a scene violente o
truculenti ma all’intensità dei primi piani ( visi, pelli ,
oggetti),alla luce degli spazi (bui e oscuri quelli nazisti, luminosi
quelli vissuti dalle nostre eroine ), alla forza espressiva delle
scene rituali e comunitarie ( violenta ed sofferta la scena della
depilazione prima del matrimonio , momento di passaggio e di
commiato alla scoperta dell’altro sesso, ma non del piacere).
L’autrice
impernia sulle due attrici-protagoniste ,Lizzie Brocherè e
Olympe Borval , la parte più emozionante del racconto e
affida al duetto,il loro, il compito di spezzare il corso triste
della Storia che scorre all’esterno mentre tutto si svolge tra le
pareti domestiche ,luogo cardine della segregazione femminile.
Soverato
1/12/2010
|